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La notizia bomba che ha movimentato il mondo del Web in questo inizio di primavera è stata l’assoluzione, da parte del Tribunale di Bologna, di un architetto che aveva installato sui suoi computer software pirata. Secondo questa sentenza, tutti i liberi professionisti possono utilizzare programmi commerciali privi di licenza senza commettere alcun reato. E per noi comuni cittadini, semplici utilizzatori di computer, vale lo stesso principio? Per chi non mastica il legalese, la risposta non è così immediata. Per comprendere la reale portata della sentenza, abbiamo quindi contattato lo Studio Legale che ha preso le difese dell’architetto e chiesto un parere all’avvocato Guido Scorza, sicuramente più avvezzo a districarsi tra le pieghe della Giustizia. Ecco il suo parere.

La parola all’avvocato
Sono anni che si discute se sia o meno opportuno ed equo che l’utilizzo non autorizzato di software costituisca reato come, attualmente, previsto dalla disciplina italiana sul diritto d’autore. Da una parte quanti hanno sempre sostenuto che si tratterebbe di un approccio eccessivo ed incongruo rispetto ai diritti tutelati e da una parte quanti – naturalmente capitanati dalle software house italiane e straniere – si dicono convinti che l’esistenza di una sanzione penale sia un deterrente irrinunciabile per la tutela del mercato del software. Quale che sia la "squadra" cui apparteniamo, ci interesserà sapere che la disciplina della materia, negli ultimi anni, ha formato oggetto di importanti interpretazioni e rivisitazioni ad opera dei giudici.

 

Usare software pirata non è reato
La sintesi – o, almeno, una delle possibili sintesi – delle conclusioni cui si è pervenuti è questa: il professionista che detiene ed utilizza, nell’ambito della propria attività professionale, software senza licenza, certamente, non commette reato e, forse, non lo commette neppure se prima di utilizzarlo e detenerlo lo ha autonomamente – e soprattutto abusivamente – duplicato. Dalla sintesi, torniamo all’analisi. La Corte di Cassazione ha, ormai da tempo [n.d.r. cfr. Sentenza 22 dicembre 2009, n. 49385] chiarito che l’art. 171 bis della Legge sul diritto d’autore, richiede, ai fini della configurabilità del reato, che la detenzione, distribuzione o vendita di software avvenga "a scopo commerciale o imprenditoriale". L’attività professionale, secondo i Giudici della Cassazione, non è assimilabile ad attività imprenditoriale o commerciale con la conseguenza che se la detenzione si consuma in ambito professionale non può esservi reato. Il legislatore secondo i Giudici della Corte Suprema, infatti, non avrebbe sottratto dalla fattispecie di reato la sola detenzione "a scopo personale" come spesso sostenuto da Giudici e commentatori ma, al contrario, avrebbe stabilito che solo la detenzione a scopo commerciale o imprenditoriale costituisce reato, ritenendo quest’ultima, evidentemente, una condotta più grave della tante altre astrattamente verificabili tra le quali, appunto, la detenzione nell’ambito di un’attività professionale.

 

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