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La Cassazione si è già espressa
Ecco, dunque, come i Giudici della Cassazione spiegano il concetto. "È erroneo equiparare l’utilizzo in una attività libero professionale ad una attività imprenditoriale solo perchè il primo utilizzo non potrebbe essere equiparato a quello meramente privato. Questo assunto si fonda su un presupposto che non corrisponde assolutamente alla realtà, ossia che il legislatore abbia stabilito che esistono solo tre categorie di utilizzi: quello commerciale, quello imprenditoriale e quello meramente privato, con la conseguenza che tutti gli utilizzi che non siano meramente privati debbano necessariamente essere fatti rientrare in una delle altre due categorie. La realtà invece è - come risulta dalla lettera e dalla ratio della disposizione - che il legislatore, tra tutti gli innumerevoli utilizzi possibili, ne ha individuati due (commerciale ed imprenditoriale) che ha ritenuto meritevoli di sanzione penale. A tutti gli altri utilizzi che non rientrano in una di queste due categorie, ovviamente, la sanzione penale non sarà applicabile". Sin qui la parola – ormai quasi granitica – dei Giudici della Cassazione.


"L’utilizzo di software pirata che non rientra in una delle due categorie commerciale ed imprenditoriale non è sanzionabile penalmente"
Corte di Cassazione, Sentenza 22 dicembre 2009, n. 49385


La sentenza choc
Nei mesi scorsi, tuttavia, a questa posizione se n’è aggiunta un’altra che ha ulteriormente alleggerito la posizione dei professionisti che utilizzano software senza licenza nell’ambito dei propri studi. Il Tribunale di Bologna, infatti, con una Sentenza dello scorso 3 giugno, accogliendo la tesi dell’Avv. Maria Virgilio che assisteva un architetto nel cui studio le fiamme gialle avevano trovato software senza licenza, ha stabilito che non costituirebbe reato non solo la detenzione ma neppure "l’abusiva duplicazione dei programmi per elaboratore da parte di un professionista". Si tratta di una tesi nuova e che – se confermata nella giurisprudenza destinata a prodursi sull’argomento – si tradurrebbe in una sostanziale e radicale impunità per i professionisti – ma quindi anche per i privati – che duplicano abusivamente software. In realtà, l’art. 171 bis della legge sul diritto d’autore richiede, affinchè la detenzione di software costituisca reato, che la stessa avvenga "a scopo commerciale o imprenditoriale", mentre non prevede che debbano ricorrere i medesimi presupposti perchè sussista il reato di abusiva duplicazione di software.


"Il Tribunale di Bologna ha stabilito che non costituirebbe reato non solo la detenzione, ma neppure l’abusiva duplicazione del software"


Cosa cambia adesso?
Per tale fattispecie di reato, infatti, il legislatore si limita a prevedere che la duplicazione avvenga per trarne profitto. Approssimazione, convinzione, ferma volontà di revisionare in modo sostanziale il quadro normativo vigente, tuttavia, hanno spinto il Giudice del Tribunale di Bologna a stabilire che anche la duplicazione abusiva di software non costituisce reato allorquando si consumi in ambito professionale. Prima di chiudere val la pena ricordare che la circostanza che la duplicazione e/o detenzione abusiva di software in ambito professionale non costituisca reato non significa che tale condotta sia lecita. Usare software senza la relativa licenza è una condotta illecita che può, comunque, costare cara, sebbene solo in termini economici, a chi la pone in essere.


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