Discussione: Audio di Jack Folla
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Vecchio 02-04-2004, 00.17.59   #13
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LETTERA DALLA SARDEGNA

Dopo aver fumato anche la sabbia, in Marocco, approfittando della disoccupazione forzata dai canali della radio pubblica, sono tornato alle origini, nel mio "confino" sardo, a fare il vagabondo volontario per quella "Cosa" di centrosinistra che sta nascendo in quest'isola attualmente governata da sventurati.
Quello che m'interessava scoprire era se un personaggio come Renato Soru, che ha internazionalizzato la Sardegna con un clic, sarà l'apripista di una nuova classe politica dell'Ulivo, che politica non è. Tutto, infatti, si può dire di Soru meno che sia un politico, e questa è la sua forza dirompente, che un domani potrebbe rivelarsi il suo limite, perché se vuoi governare la Sardegna è più facile scardinare un meccanismo ormai logoro, e stabilire un patto di fiducia con la gente, ma molto più arduo, credo, sarà ricostruire un linguaggio originale e un rapporto vivificante con le forze politiche e sindacali. La sfida, in fondo, è proprio questa: governare un cambiamento, e non limitarsi a cavalcare una frattura fra i partiti e la gente, insomma, non limitarsi a incarnare l'Uomo del No.
Sarà perché ha studiato dagli Scolopi, sarà perché ha già creato, partendo dal nulla, un piccolo impero tecnologico, credo che l'uomo di Sanluri possa fare questo salto di qualità se, come ha promesso a 46 anni, è disposto a cambiare il proprio carattere prima ancora di rimodellare quello millenario della Sardegna. Per assaggiare uno spicchio della storia di quest'isola, mi fa particolarmente piacere pubblicare sul sito il breve discorso che ho tenuto alla Fiera Campionaria di Cagliari, dove, tre giorni fa, Renato Soru ha aperto la sua campagna elettorale.

Io devo a Berlusconi due cose: di avermi dato la spinta a scrivere romanzi e di avermi fatto tornare, per Soru, nell'isola dei miei padri. Le due cose che Berlusconi mi ha regalato sono due lunghe censure, due periodi di disoccupazione e silenzio.
Dieci anni fa, nel 1994, ero un semplice autore di programmi di satira. La domenica mattina, nello spazio storico del Gran Varietà di Radio 2, scrivevo e conducevo "La domenica delle meraviglie" con un attore sardo che ricordo con immenso affetto: Gianni Agus. Mi ero da poco sposato ed era nato il mio primo figlio. Vivevo in campagna, in Umbria, una casa che poi ho venduto perché avevo cercato di costruire laggiù quella casa, quella terra, che in Sardegna non avevamo più. Poi ho capito che la speranza non basta, la Sardegna non si può sostituire. Adesso non voglio fare Rossella O' Hara in Via col Vento, ma da quando vidi quel film da bambino, la scena di Rossella che prende un pugno di terra e alza il pugno al cielo perché vuole, dalla macerie della propria anima e della sua proprietà, ricostruire la sua casa e il suo futuro, da quando vidi quella scena ho sempre pensato alla mia terra, la Sardegna. Dieci anni fa, dicevo, nel mio varietà facevo satira sulla discesa in campo di Mastrolindo. Così, quando Mastrolindo andò al governo, la Rai mi mise alla porta.
Avevo appena comprato quel pezzo di terra in Umbria e stavamo ristrutturando una casa. Avevo più mutui che capelli. E non potendo fare il mio mestiere, scrivere per la radio o per la TV, mi misi a scrivere un romanzo perché avevo scoperto una storia bellissima e dimenticata, i Vespri Sardi. La storia era questa: Nel 1853 il governo piemontese soppresse l'antico corpo dei cavalleggeri sardi e inviò sull'isola un fiammante e strombazzante reggimento dei bersaglieri. Per questi ragazzi piemontesi e genovesi con le piume al vento fu come un viaggio in Africa. Vi ricordo che all'epoca, Cavour diceva frasi come queste: "Finché i cagliaritani non avranno acqua per lavarsi non imboccheranno mai la strada della civiltà." Sono passati 150 anni, l'acqua non c'è ancora, ma di civiltà ne abbiamo da vendere. Dunque i bersaglieri scendono dal vapore Malfatano, a Porto Torres, con la loro fanfara, e corrono fra due ali di sardi in costume, dai volti di pietra, che non si entusiasmano neanche un po'. Il loro presidio nell'isola è la solita storia di colonizzazione: un po' di razzismo, vessazioni, insomma, sardi italiani di serie B, prima ancora che ci fosse l'Italia unita di serie A.
Il fatto è questo. I sassaresi festeggiano il carnevale al Teatro Verdi. I cartelli alle pareti ammoniscono i militari a togliersi il cappello per ballare con le dame. In città si vocifera di una signora sarda, sposata, che pare abbia una tresca con il maggiore dei bersaglieri. Tutta Sassatri è schierata col cornuto, perché stare con un gallinaccio piemontese pare un'offesa a tutta la città. Il maggiore entra in scena e, tenendosi il cappello piumato piantato in testa, nel bel mezzo della pista da ballo del Verdi, invita a ballare l'amante sassarese, davanti al povero e costernato marito. Dai loggioni partono fischi e proteste: "Giù il cappello, disgraziato!" Come tutta risposta il maggiore dei bersaglieri chiama i suoi alle spade. E, in un loggione, un povero ragazzo che non c'entrava nulla viene infilzato come un galletto. Apriti cielo, Sassari in rivolta, fu un carnevale di sangue. I bersaglieri misero a ferro e fuoco la città per tre giorni, ma…udite udite…al terzo giorno capitolarono. All'alba una lunga fila di bersaglieri s'incamminò verso porto Torres scortata dal popolo in armi. Furono rimparcati a forza sul Malfatano. E il vapore ripartì per Genova con il suo carico piumato.
La cosa, ovviamente, non piacque affatto ai notabili di Torino. Sei mesi dopo una flotta al comando del generale Durando assediò l'isola, che venne commissariata. Tutti i cittadini di Sassari, Oristano, Cagliari dovettero consegnare le armi. E da quel giorno, con le buone o con le cattive, la Sardegna divenne italiana, prima di tutte le altre regioni d'Italia.
Chissà perché queste cose ancora non si raccontano a scuola.
Il mio romanzo "Il Generale e la Luna" è ancora in un cassetto, fermo a pagina 250. Non so perché, non sono mai riuscito a trovare una fine. Forse perché non c'è ancora. Dieci anni dopo, Berlusconi è tornato. Nel frattempo avevo scritto otto libri, e svariati programmi radiotelevisivi. Ma la storia si è ripetuta tale e quale. Censura e silenzio. E per la seconda volta devo dire grazie a questa luna nera. Perché se facessi come miei colleghi che lavorano sotto tutti i padroni e sotto tutti i regimi (basta accendere le tv per vedere le faccie di cui parlo) oggi non sarei qui. Ma mio padre, sardo, mi ha insegnato da bambino che bisogna trasformare la luna nera in un sole. Ora non c'è più ma la sua Sardegna c'è sempre e oggi noi siamo qui per custodirne la storia e il futuro. Mi auguro davvero che questa volta ce la faremo.
Alle mie spalle c'è questo striscione con lo slogan "Da oggi il cuore della Sardegna batte più forte." Io spero che il mio cuore, invece, batta molto ma molto piano e dolcemente, per poter vivere il più a lungo possibile nella Sardegna che rinnoveremo con Renato Soru.
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